Domande
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Lo sapevi che...?
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Perchè la Luna e il Sole sembrano più grandi all'orizzonte?
Certamente uno tra i più affascinanti effetti ottici che la natura ci offre.
Si chiama illusione di Ponzo (dal nome di uno psicologo italiano che per primo spiegò questo fenomeno) e ci porta a credere che la Luna e il Sole, quando si trovano all'orizzonte, abbiano dimensioni maggiori, che tornano "normali" una volta che essi si trovino in cielo. Questa presunta differenza dimensionale viene spiegata dal fatto che, quando i due astri si trovano all'orizzonte, l'occhio compara la loro dimensione a quella degli oggetti circostanti, cioè le abitazioni: il nostro cervello sa per certo che il Sole (o la Luna) sono ovviamente più grandi delle case e dunque li "ingrandisce"; ben diverso invece quando essi si trovano in cielo. Anche in questo il nostro cervello sa benissimo quello che accade: l'immensità del cielo lo porta a riconsiderare le dimensioni di Sole e Luna riportandoli alle loro dimensioni "originali". Nell'immagine, il secondo cerchio appare più grande, in quanto incorniciato da cerchi più piccoli. In realtà i due cerchi arancioni sono perfettamente identici.
Si chiama illusione di Ponzo (dal nome di uno psicologo italiano che per primo spiegò questo fenomeno) e ci porta a credere che la Luna e il Sole, quando si trovano all'orizzonte, abbiano dimensioni maggiori, che tornano "normali" una volta che essi si trovino in cielo. Questa presunta differenza dimensionale viene spiegata dal fatto che, quando i due astri si trovano all'orizzonte, l'occhio compara la loro dimensione a quella degli oggetti circostanti, cioè le abitazioni: il nostro cervello sa per certo che il Sole (o la Luna) sono ovviamente più grandi delle case e dunque li "ingrandisce"; ben diverso invece quando essi si trovano in cielo. Anche in questo il nostro cervello sa benissimo quello che accade: l'immensità del cielo lo porta a riconsiderare le dimensioni di Sole e Luna riportandoli alle loro dimensioni "originali". Nell'immagine, il secondo cerchio appare più grande, in quanto incorniciato da cerchi più piccoli. In realtà i due cerchi arancioni sono perfettamente identici.
Si vede la bandiera americana sulla Luna?
Una delle domande certamente più ricorrenti che viene posta agli astrofili durante le serate osservative. La risposta è semplice: NO.
Il motivo è presto spiegato: non esistono, attualmente, telescopi in grado di ingrandire così tanto da poter distinguere in maniera nitida un oggetto così piccolo e per giunta così distante. La Luna dista mediamente 384.000 km da noi e la bandiera si può supporre sia grande circa 4-5 metri: ci vorrebbero strumenti in grado di ingrandire decine di milioni di volte, ma a quei valori, verrebbero ingigantite anche le perturbazioni atmosferiche e quindi servirebbe una nitidezza ai limiti della perfezione per ottenere questo risultato. Si pensi che nemmeno il Telescopio Hubble è in grado di distinguere le bandiere poste sul suolo lunare: la sua apertura angolare massima, infatti, è di 0,1 secondi d'arco, equivalenti a circa 100 metri. Con queste caratteristiche è difficile individuare perfino i Rovers e i moduli di lancio che sono ancora presenti sulla Luna.
Il motivo è presto spiegato: non esistono, attualmente, telescopi in grado di ingrandire così tanto da poter distinguere in maniera nitida un oggetto così piccolo e per giunta così distante. La Luna dista mediamente 384.000 km da noi e la bandiera si può supporre sia grande circa 4-5 metri: ci vorrebbero strumenti in grado di ingrandire decine di milioni di volte, ma a quei valori, verrebbero ingigantite anche le perturbazioni atmosferiche e quindi servirebbe una nitidezza ai limiti della perfezione per ottenere questo risultato. Si pensi che nemmeno il Telescopio Hubble è in grado di distinguere le bandiere poste sul suolo lunare: la sua apertura angolare massima, infatti, è di 0,1 secondi d'arco, equivalenti a circa 100 metri. Con queste caratteristiche è difficile individuare perfino i Rovers e i moduli di lancio che sono ancora presenti sulla Luna.
Quanti anni ha la Luna?
Sappiamo che è "anziana", ma precisamente quanto?
Alcuni scienziati l'hanno calcolato e, dalle analisi delle rocce recuperate dalle missioni spaziali, è uscita l'età del nostro satellite: 4,527 miliardi di anni.
Il margine di errore di questa valutazione si attesta sui 10 milioni di anni, quindi relativamente trascurabile.
Alcuni scienziati l'hanno calcolato e, dalle analisi delle rocce recuperate dalle missioni spaziali, è uscita l'età del nostro satellite: 4,527 miliardi di anni.
Il margine di errore di questa valutazione si attesta sui 10 milioni di anni, quindi relativamente trascurabile.
Il Sole sorge a est? No, solo due volte all'anno!
Si tratta di un'affermazione quantomeno curiosa che suscita sempre grande stupore quando viene pronunciata, ma è quello che realmente accade: durante l'anno infatti il Sole "rimane" nel cielo per diversi intervalli di tempo a seconda della posizione che il nostro pianeta assume durante la sua rivoluzione. Banalmente, d'estate ci rimane per più tempo, d'inverno per meno.
A cosa sono dovuti questi intervalli? La maggior parte degli oggetti celesti, e quindi anche la nostra stella, compiono il loro "viaggio" secondo un percorso che parte da est e termina a ovest: questi oggetti disegnano delle SEMI-CIRCONFERENZE, che hanno come asse, la linea che parte dal polo nord celeste, passa per l'osservatore e prosegue idealmente verso il polo sud celeste. Questi oggetti, dunque, ruotano tutti attorno a questo asse, sempre andando da est a ovest (in realtà è la Terra che, grazie al suo movimento di rotazione, permette di vedere gli oggetti sorgere e tramontare).
Conseguentemente alcuni oggetti disegnano circonferenze più grandi e altri più piccole, permanendo nel cielo per diversi intervalli di tempo, ma dato che la velocità di rotazione è uguale per tutti, se ne deduce che a cambiare è la quantità di spazio che ogni oggetto copre nel cielo: a velocità costante, più spazio c'è da percorrere, più tempo impiegherà a farlo.
Si tratta di un'affermazione quantomeno curiosa che suscita sempre grande stupore quando viene pronunciata, ma è quello che realmente accade: durante l'anno infatti il Sole "rimane" nel cielo per diversi intervalli di tempo a seconda della posizione che il nostro pianeta assume durante la sua rivoluzione. Banalmente, d'estate ci rimane per più tempo, d'inverno per meno.
A cosa sono dovuti questi intervalli? La maggior parte degli oggetti celesti, e quindi anche la nostra stella, compiono il loro "viaggio" secondo un percorso che parte da est e termina a ovest: questi oggetti disegnano delle SEMI-CIRCONFERENZE, che hanno come asse, la linea che parte dal polo nord celeste, passa per l'osservatore e prosegue idealmente verso il polo sud celeste. Questi oggetti, dunque, ruotano tutti attorno a questo asse, sempre andando da est a ovest (in realtà è la Terra che, grazie al suo movimento di rotazione, permette di vedere gli oggetti sorgere e tramontare).
Conseguentemente alcuni oggetti disegnano circonferenze più grandi e altri più piccole, permanendo nel cielo per diversi intervalli di tempo, ma dato che la velocità di rotazione è uguale per tutti, se ne deduce che a cambiare è la quantità di spazio che ogni oggetto copre nel cielo: a velocità costante, più spazio c'è da percorrere, più tempo impiegherà a farlo.
Nell'immagine a sinistra possiamo notare nella pratica ciò che è stato appena detto: l'oggetto che percorre la linea verde impiegherà certamente più tempo a completare il suo viaggio rispetto a quello che lo compie sulla linea blu e ancor di più rispetto a quello sulla linea rossa.
Se però ci focalizziamo sul Sole scopriamo che esso, a differenza degli oggetti celesti quali costellazioni, stelle e similari, SPOSTA IL PROPRIO PUNTO DI ALBA E/O TRAMONTO! Questo perchè, come detto prima, è la Terra che compiendo il proprio moto di rivoluzione cambia posizione rispetto all'astro: quindi il nostro Sole si sposterà dalla linea rossa alla linea verde durante l'anno. In particolare, quando il Sole arriva agli EQUINOZI, le ore di luce e di buoi coincidono: in questi particolari momenti il punto in cui il Sole sorge è PERFETTAMENTE (O QUASI) COINCIDENTE CON L'EST! Man mano che si andrà verso l'estate o verso l'inverno, il punto di alba del Sole si sposterà verso Nord (se si va verso l'estate) o verso Sud (se si va verso l'inverno).
Ecco perchè si può tranquillamente affermare che il Sole sorge a Est (e tramonta a Ovest) solo 2 volte all'anno.
Se però ci focalizziamo sul Sole scopriamo che esso, a differenza degli oggetti celesti quali costellazioni, stelle e similari, SPOSTA IL PROPRIO PUNTO DI ALBA E/O TRAMONTO! Questo perchè, come detto prima, è la Terra che compiendo il proprio moto di rivoluzione cambia posizione rispetto all'astro: quindi il nostro Sole si sposterà dalla linea rossa alla linea verde durante l'anno. In particolare, quando il Sole arriva agli EQUINOZI, le ore di luce e di buoi coincidono: in questi particolari momenti il punto in cui il Sole sorge è PERFETTAMENTE (O QUASI) COINCIDENTE CON L'EST! Man mano che si andrà verso l'estate o verso l'inverno, il punto di alba del Sole si sposterà verso Nord (se si va verso l'estate) o verso Sud (se si va verso l'inverno).
Ecco perchè si può tranquillamente affermare che il Sole sorge a Est (e tramonta a Ovest) solo 2 volte all'anno.
Giorni che si accorciano e che si allungano: il proverbio veronese
"A Santa Lùssia, 'na ponta de ùcia, a Nadal un passo de gal, al' Epifania un passo de strìa, a Sant'Antonio un passo del demonio"
Questo proverbio in dialetto veronese, risalente all'epoca medievale, è un esempio utile a capire quando i giorni si accorciano o si allungano a cavallo tra i mesi di dicembre e gennaio. La traduzione esatta è la seguente: "a Santa Lucia una punta di ago, a Natale un passo di gallo, all'Epifania un passo di strega, a sant'Antonio un passo del demonio".
Per spiegare in maniera corretta il significato di tale detto, bisogna tornare indietro nel tempo precisamente al 1582: in quest'anno, infatti, ci fu la riforma del calendario, introducendo quello gregoriano in sostituzione di quello giuliano. Precedentemente a questa introduzione il solstizio d'inverno (il giorno con meno ore di luce dell'anno) cadeva proprio il 13 dicembre, mentre successivamente all'introduzione del nuovo calendario, tale giorno è stato "traslato" di circa 10 giorni, cadendo nella data convenzionalmente usata ai nostri giorni (tale calendario, voluto da papa Gregorio XIII per sistemare la differenza che si era accumulata per la festività pasquale con il calendario precedente, "cancellò" alcuni giorni del mese di ottobre del 1582, introdusse gli anni bisestili e ridefinì le date di inizio delle varie stagioni). Tale motivazione è alla base anche della differenza di 13 giorni che sussiste tra le festività cristiane e quelle ortodosse.
Il proverbio veronese trova la sua giusta applicazione anche nella realtà con alcune piccole differenze: a Santa Lucia il Sole anticipa veramente il tramonto e in quel giorno (o nei giorni strettamente precedenti) si ha il tramonto più anticipato dell'anno e, dunque, da un punto di vista squisitamente "visuale" ci sembrerà che sia effettivamente il giorno più corto dell'anno. Dopo tale giorno, il tramonto ricomincia a essere posticipato di qualche minuto, ma parallelamente sarà anche l'alba a essere soggetta a tale processo: quindi i giorni si accorceranno ulteriormente fino appunto al solstizio d'inverno (21/22 dicembre). Successivamente a questa data, quindi a Natale, i giorni ricominceranno ad allungarsi (in realtà è il tramonto che arriva ad avere un posticipo importante e quindi a dare l'impressione dell'aumento delle ore di luce) e da qui l'associazione con il "passo di gallo" per poi arrivare al "passo di strega" nel giorno dell'Epifania e quello "del demonio" nel giorno di Sant'Antonio che cade il 17 gennaio.
Questo proverbio in dialetto veronese, risalente all'epoca medievale, è un esempio utile a capire quando i giorni si accorciano o si allungano a cavallo tra i mesi di dicembre e gennaio. La traduzione esatta è la seguente: "a Santa Lucia una punta di ago, a Natale un passo di gallo, all'Epifania un passo di strega, a sant'Antonio un passo del demonio".
Per spiegare in maniera corretta il significato di tale detto, bisogna tornare indietro nel tempo precisamente al 1582: in quest'anno, infatti, ci fu la riforma del calendario, introducendo quello gregoriano in sostituzione di quello giuliano. Precedentemente a questa introduzione il solstizio d'inverno (il giorno con meno ore di luce dell'anno) cadeva proprio il 13 dicembre, mentre successivamente all'introduzione del nuovo calendario, tale giorno è stato "traslato" di circa 10 giorni, cadendo nella data convenzionalmente usata ai nostri giorni (tale calendario, voluto da papa Gregorio XIII per sistemare la differenza che si era accumulata per la festività pasquale con il calendario precedente, "cancellò" alcuni giorni del mese di ottobre del 1582, introdusse gli anni bisestili e ridefinì le date di inizio delle varie stagioni). Tale motivazione è alla base anche della differenza di 13 giorni che sussiste tra le festività cristiane e quelle ortodosse.
Il proverbio veronese trova la sua giusta applicazione anche nella realtà con alcune piccole differenze: a Santa Lucia il Sole anticipa veramente il tramonto e in quel giorno (o nei giorni strettamente precedenti) si ha il tramonto più anticipato dell'anno e, dunque, da un punto di vista squisitamente "visuale" ci sembrerà che sia effettivamente il giorno più corto dell'anno. Dopo tale giorno, il tramonto ricomincia a essere posticipato di qualche minuto, ma parallelamente sarà anche l'alba a essere soggetta a tale processo: quindi i giorni si accorceranno ulteriormente fino appunto al solstizio d'inverno (21/22 dicembre). Successivamente a questa data, quindi a Natale, i giorni ricominceranno ad allungarsi (in realtà è il tramonto che arriva ad avere un posticipo importante e quindi a dare l'impressione dell'aumento delle ore di luce) e da qui l'associazione con il "passo di gallo" per poi arrivare al "passo di strega" nel giorno dell'Epifania e quello "del demonio" nel giorno di Sant'Antonio che cade il 17 gennaio.
Le chiamano "stelle novae" e "supernovae": in realtà sono anziane e stanno morendo
Gli astronomi dell'antichità, favoriti anche da un cielo decisamente meno inquinato di quello attuale, le vedevano comparire all'improvviso, in zone del cielo dove prima non c'era nulla: le hanno chiamate, molto semplicemente, stelle "novae", cioè stelle nuove, nell'ipotesi che esse fossero stelle appena formate.
In tempi recenti, però, si è appresa al verità: quelle che gli antichi chiamavano stelle novae, in realtà sono stelle "vecchie", anziane, che stanno terminando il loro ciclo vitale.
Ai giorni nostri il termine "nova" identifica un meccanismo fisico che interessa le nane bianche (per capire meglio come una stella evolve in nana bianca si veda il Capitolo 4 della guida sull'evoluzione stellare): questo fenomeno si verifica nel caso in cui una nana bianca faccia parte di un sistema binario di stelle. In questo caso, la nana bianca, avendo maggiore forza di gravità, "aspira" materiale dalla sua compagna, in particolare quando questa attraversa la fase di gigante rossa. I residui di idrogeno e di elio presi dalla compagna vanno a depositarsi sulla "superficie" della nana bianca: man mano che la quantità di materiale aumenta, aumentano anche pressione e temperatura che, arrivate a certi livelli, innescano la fusione nucleare (la stella si "riaccende" per un breve periodo). L'energia generata da questo processo espelle verso l'esterno parte dei gas (l'altra parte viene bruciata e convertita in elementi pesanti) producendo un "lampo" che aumenta notevolmente la luminosità della stella che dura pochi giorni.
Le "supernovae" (nella foto la supernova SN 2014 J nella Galassia Sigaro catturata da Manuel Mascalzoni) invece sono stelle molto massicce
(di massa più di 10 volte superiore a quella del Sole) che, a causa delle numerosi contrazioni del nucleo, "esplodono" rilasciando nello spazio tutti i loro strati più esterni e diventando molto luminose (si veda il Capitolo 5 della guida sull'evoluzione stellare).
In conclusione, i termini "nova" e "supernova" vennero erroneamente coniati per identificare questi improvvisi aumenti di luminosità delle stelle: certo nell'antichità gli astronomi non potevano conoscere la verità, probabilmente ciò che loro vedevano erano solo "supernovae", ma questo ci dà la misura della quantità di luminosità generate da questi fenomeni fisici, molto simili, ma di natura completamente diversa.
In tempi recenti, però, si è appresa al verità: quelle che gli antichi chiamavano stelle novae, in realtà sono stelle "vecchie", anziane, che stanno terminando il loro ciclo vitale.
Ai giorni nostri il termine "nova" identifica un meccanismo fisico che interessa le nane bianche (per capire meglio come una stella evolve in nana bianca si veda il Capitolo 4 della guida sull'evoluzione stellare): questo fenomeno si verifica nel caso in cui una nana bianca faccia parte di un sistema binario di stelle. In questo caso, la nana bianca, avendo maggiore forza di gravità, "aspira" materiale dalla sua compagna, in particolare quando questa attraversa la fase di gigante rossa. I residui di idrogeno e di elio presi dalla compagna vanno a depositarsi sulla "superficie" della nana bianca: man mano che la quantità di materiale aumenta, aumentano anche pressione e temperatura che, arrivate a certi livelli, innescano la fusione nucleare (la stella si "riaccende" per un breve periodo). L'energia generata da questo processo espelle verso l'esterno parte dei gas (l'altra parte viene bruciata e convertita in elementi pesanti) producendo un "lampo" che aumenta notevolmente la luminosità della stella che dura pochi giorni.
Le "supernovae" (nella foto la supernova SN 2014 J nella Galassia Sigaro catturata da Manuel Mascalzoni) invece sono stelle molto massicce
(di massa più di 10 volte superiore a quella del Sole) che, a causa delle numerosi contrazioni del nucleo, "esplodono" rilasciando nello spazio tutti i loro strati più esterni e diventando molto luminose (si veda il Capitolo 5 della guida sull'evoluzione stellare).
In conclusione, i termini "nova" e "supernova" vennero erroneamente coniati per identificare questi improvvisi aumenti di luminosità delle stelle: certo nell'antichità gli astronomi non potevano conoscere la verità, probabilmente ciò che loro vedevano erano solo "supernovae", ma questo ci dà la misura della quantità di luminosità generate da questi fenomeni fisici, molto simili, ma di natura completamente diversa.
Perchè i pianeti si chiamano così?
Sembra una banalità, ma così non è. Perchè i pianeti del Sistema Solare hanno proprio questi nomi, cioè quelli delle divinità romane?
La causa di questa nomenclatura è da ricercare fin dai tempi più antichi: l'idea di nominare gli oggetti celesti con i nomi degli déi fu dei Babilonesi prima e dei Greci poi. La ricerca del nome fu affibbiata al pianeta in questione in relazione alle caratteristiche che esso mostrava agli occhi degli astronomi (i telescopi ancora non esistevano). L'odierno Mercurio si spostava molto velocemente nel cielo e dunque i Greci (la cui cultura fu certamente più influente di quella babilonese) lo nominarono con il nome di chi, nell'Olimpo, andava più veloce di tutti, cioè Hermes, il messaggero di Zeus; Venere fu identificato con Afrodite, la dea della bellezza, a causa della sua elevata luminosità nel cielo; Marte in principio era Ares, dio della guerra, per via del suo colore rosso che richiamava il sangue che veniva versato durante le battaglie; Giove era Zeus, per la maestosità con cui dominava il cielo notturno; Saturno, infine, era Cronos, dio del tempo, chiamato così a causa del suo moto lento nel cielo.
Successivamente i Romani, conquistando un vastissimo territorio e diventando punto di riferimento culturale ed economico, convertirono i nomi greci con quelli da loro adottati per le divinità corrispondenti, con l'assenso della Chiesa Cattolica che premeva al fine di far prevalere la cultura romana rispetto a quella greca: da allora i pianeti hanno assunto i nomi che ancora oggi usiamo per identificarli.
Urano e Nettuno, scoperti solo in epoca ben più recente di quella romana, hanno assunto questi nomi per "tradizione", continuando ciò che era una consuetudine antica durata per molti secoli.
La causa di questa nomenclatura è da ricercare fin dai tempi più antichi: l'idea di nominare gli oggetti celesti con i nomi degli déi fu dei Babilonesi prima e dei Greci poi. La ricerca del nome fu affibbiata al pianeta in questione in relazione alle caratteristiche che esso mostrava agli occhi degli astronomi (i telescopi ancora non esistevano). L'odierno Mercurio si spostava molto velocemente nel cielo e dunque i Greci (la cui cultura fu certamente più influente di quella babilonese) lo nominarono con il nome di chi, nell'Olimpo, andava più veloce di tutti, cioè Hermes, il messaggero di Zeus; Venere fu identificato con Afrodite, la dea della bellezza, a causa della sua elevata luminosità nel cielo; Marte in principio era Ares, dio della guerra, per via del suo colore rosso che richiamava il sangue che veniva versato durante le battaglie; Giove era Zeus, per la maestosità con cui dominava il cielo notturno; Saturno, infine, era Cronos, dio del tempo, chiamato così a causa del suo moto lento nel cielo.
Successivamente i Romani, conquistando un vastissimo territorio e diventando punto di riferimento culturale ed economico, convertirono i nomi greci con quelli da loro adottati per le divinità corrispondenti, con l'assenso della Chiesa Cattolica che premeva al fine di far prevalere la cultura romana rispetto a quella greca: da allora i pianeti hanno assunto i nomi che ancora oggi usiamo per identificarli.
Urano e Nettuno, scoperti solo in epoca ben più recente di quella romana, hanno assunto questi nomi per "tradizione", continuando ciò che era una consuetudine antica durata per molti secoli.
Come si calcola il giorno in cui cade la Pasqua?
Calcolare il giorno in cui cadrà la festività pasquale non è così difficile: bisogna solo destreggiarsi un po' con alcuni calcoli.
In linea generale, il concetto che sta alla base di tale calcolo è:
"La Pasqua cade la domenica successiva alla prima luna piena dopo l'equinozio di primavera"
Quindi tutto ciò che servirà è sapere la data dell'equinozio di primavera (che solitamente cade il 20 o il 21 Marzo) e il giorno di luna piena.
Tuttavia calcolare a mente la Pasqua dell'anno successivo è arduo ma non impossibile.
Vediamo come fare:
1) Partiamo da una considerazione: dato un giorno qualsiasi è possibile sapere se quel giorno, l'anno successivo cadrà di lunedì, martedì ecc.. Per esempio: se il 1 gennaio di un dato anno (non bisestile) cade di lunedì, l'anno successivo (purchè non bisestile) cadrà di martedì, quindi da un anno all'altro basta spostarlo IN AVANTI (da lunedì a martedì, da venerdì a sabato e così via). Se l'anno seguente è un bisestile dovrete aggiungerne 2 (da lunedì a mercoledì, da giovedì a sabato e così via...);
2) Per la luna piena il calcolo è un pochino più complesso: bisogna sapere prima di tutto il giorno esatto in cui si registra la fase di luna piena (ma per questo c'è la nostra pagina del "Cielo del mese") e poi cominciare a calcolare. La rivoluzione lunare dura 29 giorni e 12 ore circa, quindi bisogna segnare le lune piene successive fino ad arrivare alla prima luna piena dopo l'equinozio di primavera dell'anno successivo.
All'apparenza sembra difficile, ma con un po' di pazienza si può riuscire a calcolare le Pasque degli anni successivi, tenendo presente che la Pasqua Cristiana non può mai cadere prima del 22 marzo e mai oltre il 25 aprile.
In linea generale, il concetto che sta alla base di tale calcolo è:
"La Pasqua cade la domenica successiva alla prima luna piena dopo l'equinozio di primavera"
Quindi tutto ciò che servirà è sapere la data dell'equinozio di primavera (che solitamente cade il 20 o il 21 Marzo) e il giorno di luna piena.
Tuttavia calcolare a mente la Pasqua dell'anno successivo è arduo ma non impossibile.
Vediamo come fare:
1) Partiamo da una considerazione: dato un giorno qualsiasi è possibile sapere se quel giorno, l'anno successivo cadrà di lunedì, martedì ecc.. Per esempio: se il 1 gennaio di un dato anno (non bisestile) cade di lunedì, l'anno successivo (purchè non bisestile) cadrà di martedì, quindi da un anno all'altro basta spostarlo IN AVANTI (da lunedì a martedì, da venerdì a sabato e così via). Se l'anno seguente è un bisestile dovrete aggiungerne 2 (da lunedì a mercoledì, da giovedì a sabato e così via...);
2) Per la luna piena il calcolo è un pochino più complesso: bisogna sapere prima di tutto il giorno esatto in cui si registra la fase di luna piena (ma per questo c'è la nostra pagina del "Cielo del mese") e poi cominciare a calcolare. La rivoluzione lunare dura 29 giorni e 12 ore circa, quindi bisogna segnare le lune piene successive fino ad arrivare alla prima luna piena dopo l'equinozio di primavera dell'anno successivo.
All'apparenza sembra difficile, ma con un po' di pazienza si può riuscire a calcolare le Pasque degli anni successivi, tenendo presente che la Pasqua Cristiana non può mai cadere prima del 22 marzo e mai oltre il 25 aprile.