Il sistema solare si allarga ancora
La scoperta di un nuovo planetoide sposta ancora il limite estremo del nostro sistema planetario
La scoperta di un nuovo planetoide sposta ancora il limite estremo del nostro sistema planetario
di Luca Masotto
Ha ancora un nome temporaneo, in attesa che la massima autorità in questo campo, l’Unione Astronomica Internazionale, gli conferisca un nome definitivo, ma è già un serio candidato a diventare un pianeta nano ed entrare, quindi, nella strettissima elìte di corpi del sistema solare che può fregiarsi di questa classificazione. Lontanissimo da noi, a quasi tredici miliardi di km dal Sole, impiega 1100 anni a completare una rivoluzione completa attorno alla nostra stella e con i suoi 530 km di diametro ha le dimensioni simili a quella della maggioranza dei satelliti naturali dei pianeti maggiori del nostro Sistema Solare. Un mondo freddissimo, lontanissimo e ovviamente impossibile da osservare data la distanza, la cui scoperta, ad opera dell’astrofisico David Gerdes, ha però spostato molto oltre il limite del nostro sistema planetario. Un pianeta nano dunque, in attesa dell’ufficialità della scoperta, che si aggiunge al ben più noto Plutone, scoperto quasi un secolo fa e rimasto, per sessant’anni, nella cerchia dei “pianeti” come nono componente, prima di essere declassato, a Makemake, a Haumea, a Eris e a Cerere, il maggiore asteroide della fascia principale che orbita tra Marte e Giove, l’unico che sia osservabile in maniera accettabile anche da telescopi amatoriali.
Le scoperte in questa direzione non si fermano, anche se diventa sempre più difficile scovare nuovi corpi a causa della loro posizione non sempre allineata con il resto della “compagnia”. Tutti i pianeti maggiori infatti orbitano su un piano immaginario, la linea dell’eclittica, che non è altro che la proiezione, nello spazio, dell’equatore del Sole. Su questo piano immaginario, ottenuto prolungando tale linea, si “appoggiano” tutti i pianeti del Sistema Solare e di questa cosa si erano accorti già nell’antichità e anche le successive scoperte di Urano e Nettuno in epoca recente dimostrarono che quella era la zona ideale per cercare nuovi corpi. La scoperta di Plutone, tuttavia, spense un po’ gli entusiasmi: questo nuovo corpo era diverso, il fatto che al momento della scoperta si trovasse molto a ridosso dell’eclittica, fu solamente un fatto casuale. Plutone si spostava (e si sposta) molto da questo piano immaginario, portando alla conclusione che le ricerche dovessero essere condotte con un nuovo metodo, già testato con Plutone: il confronto tra foto. Le distanze sempre maggiori alle quelli venivano trovati i nuovi oggetti, imponevano uno spostamento sempre minore e, quindi, sempre meno percettibile, oltre al fatto che era sempre più difficile identificare quei “puntini” come pianeti, ovvero come semplici stelle deboli. Fino agli anni 90 del ventesimo secolo, si ricercò spasmodicamente il famoso “Pianeta X”, il decimo pianeta del Sistema Solare: Plutone infatti non era sufficientemente massiccio per perturbare il moto di Nettuno e dunque si doveva cercare ancora. L’arrivo della sonda Voyager 2 nei pressi di Urano e Nettuno fu una svolta: ciò che si era affannosamente cercato per mezzo secolo in realtà non doveva essere cercato in quanto i moti dei due pianeti gassosi, alla luce delle nuove misurazioni della sonda, erano corretti. Qualcuno allora cominciò a porsi il problema del considerare o meno questi nuovi corpi, che nel frattempo venivano scoperti, pianeti o asteroidi, fino a quando nel 2006 si optò per creare questa nuova categoria di oggetti, i pianeti nani, rispondenti ad alcune precise caratteristiche: forma quasi sferica, orbita attorno ad una stella, ma che non siano stati in grado di “ripulire” la propria orbita da corpi estranei. Le scoperte dunque continuano e, nell’attesa che i limiti del nostro sistema solare vengano spostati ancora, restiamo in attesa del benvenuto ufficiale da dare a questo nuovo pianeta nano, che per adesso ci accontentiamo di chiamare “2014 UZ224”.