I telescopi
Introduzione
Il telescopio è certamente lo strumento principale di un astrofilo e il mezzo migliore per avvicinare a noi tutti quegli oggetti così lontani che popolano la volta celeste. Quelli elencati nelle descrizioni che seguiranno riguardano tipologie di telescopio amatoriale, quelli che vengono comunemente usati da tutti gli astrofili del mondo e che si trovano sul mercato.
I telescopi amatoriali sono innanzitutto trasportabili, anche se molti astrofili preferiscono optare per configurazioni decisamente più costose e pesanti che vengono collocate in mini-osservatori domestici; quello in cui differiscono sono le configurazioni ottiche e la loro destinazione d’uso, o, per meglio dire, la soluzione ideale di utilizzo. Il primo passo da fare per analizzare e scegliere un telescopio è prestare attenzione sia alla grandezza, il cosiddetto DIAMETRO, e alla lunghezza che la luce deve fare all’interno del tubo, la cosiddetta FOCALE: andiamo a vedere insieme di cosa stiamo parlando.
Il concetto di focale
Se intuire cosa sia il diametro di un telescopio può essere facile (è il diametro dello specchio o della lente), qualche difficoltà in più la si incontra quando si parla di focale. La focale è, per definizione,
la distanza, espressa in millimetri, tra la lente convergente e il piano di fuoco quando l’oggetto da mettere a fuoco è all’infinito.
In campo astronomico gli oggetti che osserviamo si possono, ovviamente, considerare tutti all’infinito.
Nei telescopi la lunghezza focale varia da strumento a strumento ed è espressa in relazione allo schema ottico utilizzato: vedremo nei paragrafi successivi quali configurazioni ottiche utilizzano focali più lunghe e quali focali più corte. La misura della focale è anche utile per capire a quanti ingrandimenti andremo a guardare l’oggetto che ci interessa: questo va in base alla misura dell’oculare che utilizziamo. Per esempio se il nostro strumento ha una focale di 1000 mm e utilizziamo un oculare da 10 mm, l’immagine che andremo a vedere sarà soggetta a un ingrandimento di 100x.
Per meglio comprendere questo concetto ci viene in aiuto Marco Vesentini, che ha realizzato questo video molto esplicativo sull'argomento
Il rapporto focale
Come abbiamo appena visto diametro e focale sono le due caratteristiche principali che vengono considerate nell’acquisto di un telescopio. Vi è tuttavia una terza caratteristica, assolutamente fondamentale, che è in realtà la combinazione delle due viste pocanzi, che vengono poste in una relazione frazionaria, in cui la focale (F) espressa in millimetri sta al numeratore e il diametro (d), anch’esso espresso in millimetri, sta al denominatore, come segue:
f= F/d
Il valore di f ci spiega le caratteristiche del telescopio: più il valore è alto e più il telescopio sarà “scuro”, più il valore è basso e più il telescopio sarà “luminoso”, ma parallelamente più soggetto a difetti ottici come l’aberrazione cromatica e il cosiddetto “coma”, cioè la distorsione della forma puntuale puntiforme di una stella (dei difetti delle varie configurazioni parleremo più avanti
Il potere risolutivo
Un concetto legato al parametro degli ingrandimenti è quello del potere risolutivo: si tratta della capacità di “dividere” due oggetti relativamente vicini e quindi di permettere di vederli distintamente. Questa caratteristica si ricava da un formula molto semplice: s=120/D, dove D è il diametro del telescopio espresso in millimetri. Si ottiene, in questo modo, il valore s che è espresso in secondi d’arco. L’esistenza del potere risolutivo implica un limite di ingrandimenti massimi che lo strumento può sostenere: questo valore corrisponde a circa 1,5/2 volte la misura del diametro. Superato questo limite, l’immagine si può ulteriormente ingrandire, ma con la conseguenza di non poter risolvere ulteriori dettagli dell’oggetto e, anzi, peggiorandone notevolmente la qualità. Il potere risolutivo, tuttavia, è un dato puramente teorico: subentrano infatti alcuni fattori che ne inficiano il valore, come ad esempio le turbolenze atmosferiche (il cosiddetto seeing).
L'ostruzione
Un valore che dobbiamo prendere in considerazione quando parliamo di telescopi riflettori è la percentuale di ostruzione, cioè quella parte di luce che non viene catturata dallo specchio primario a causa della dello specchio secondario che blocca la parte centrale del fascio di luce: tanto più il diametro di tale specchio è maggiore, tanto più è maggiore la percentuale di ostruzione del telescopio. Un’elevata ostruzione pone dei limiti alla qualità dell’immagine .
Le configurazioni ottiche
Passiamo ora a vedere quali sono gli schemi ottici che vengono solitamente più usati per realizzare i telescopi amatoriali. Si distinguono principalmente in tre tipi: i telescopi rifrattori, i telescopi riflettori e i telescopi compatti o catadiottrici. Vediamoli nel dettaglio
I telescopi rifrattori
Sono costituiti da un lungo tubo chiuso sulla cui estremità frontale vengono installate due lenti che hanno la funzione di scomporre e ricomporre la luce che raccolgono.
Nell’uso amatoriale non raggiungono grandi aperture: difficilmente si trovano modelli che superino i 15 cm di diametro in quanto, oltre alle dimensioni che diventerebbero eccessivamente ingombranti, il costo per realizzare rifrattori a grande apertura non compenserebbe con i risultati ottenuti. Il loro utilizzo principale è il “planetario”, cioè l’osservazione dei pianeti, e l’osservazione di stelle doppie: il telescopio rifrattore infatti, data la piccola apertura, risulta inadatto all’ osservazione di oggetti del profondo cielo come le galassie.
Esistono 2 sottotipi di questo telescopio: i rifrattori acromatici e i rifrattori apocromatici. La differenza sostanziale tra questi due sistemi risiede nella capacità di mettere a fuoco nello stesso punto due colori contemporaneamente (nei rifrattori acromatici) oppure 3 (nei rifrattori apocromatici). Per meglio comprendere il funzionamento e le differenze delle 2 ottiche occorre attingere qualche nozione dall’ottica: le lenti, in generale, scompongono la luce nei tre colori RGB, rosso, verde e blu. Questi 3 colori vengono successivamente ricomposti sul piano focale. Il rifrattore di tipo ACROMATICO ricompone solo 2 di questi colori (lunghezze d’onda) con la conseguenza che gli oggetti osservati presenteranno un’aberrazione cromatica che consiste nel vedere un colore scuro ai bordi degli oggetti osservati; nell’ottica APOCROMATICA invece, vengono ricomposti tutti e 3 i colori e dunque i colori scuri sono assenti, presentando un’immagine decisamente più incisa e contrastata.
L’apocromatico, quindi, combina 2 diverse lenti, come nell’acromatico, ma dispone di uno o più elementi “correttivi” che riducono quasi a zero l’aberrazione cromatica. Di conseguenza, a parità di diametro, un rifrattore apocromatico è decisamente molto più costoso, anche fino a 10 volte tanto, rispetto a un rifrattore acromatico tradizionale. Tuttavia esistono in commercio degli accessori che permettono di correggere e di migliorare alcuni limiti che affliggono i rifrattori acromatici, anche se l’impiego di un apocromatico, anche se più costoso, è sempre consigliabile rispetto a una soluzione “corretta”. I rifrattori apocromatici, proprio per le loro caratteristiche, sono i più gettonati e i più consigliati nel campo dell’astrofotografia: limitarsi solo a un uso “visuale” minimizzerebbe molto le potenzialità di questi strumenti.
Un particolare tipo di rifrattore è il “coronografo” che permette di osservare la corona solare grazie ad un cono che ostruisce il disco solare.
Sono costituiti da un lungo tubo chiuso sulla cui estremità frontale vengono installate due lenti che hanno la funzione di scomporre e ricomporre la luce che raccolgono.
Nell’uso amatoriale non raggiungono grandi aperture: difficilmente si trovano modelli che superino i 15 cm di diametro in quanto, oltre alle dimensioni che diventerebbero eccessivamente ingombranti, il costo per realizzare rifrattori a grande apertura non compenserebbe con i risultati ottenuti. Il loro utilizzo principale è il “planetario”, cioè l’osservazione dei pianeti, e l’osservazione di stelle doppie: il telescopio rifrattore infatti, data la piccola apertura, risulta inadatto all’ osservazione di oggetti del profondo cielo come le galassie.
Esistono 2 sottotipi di questo telescopio: i rifrattori acromatici e i rifrattori apocromatici. La differenza sostanziale tra questi due sistemi risiede nella capacità di mettere a fuoco nello stesso punto due colori contemporaneamente (nei rifrattori acromatici) oppure 3 (nei rifrattori apocromatici). Per meglio comprendere il funzionamento e le differenze delle 2 ottiche occorre attingere qualche nozione dall’ottica: le lenti, in generale, scompongono la luce nei tre colori RGB, rosso, verde e blu. Questi 3 colori vengono successivamente ricomposti sul piano focale. Il rifrattore di tipo ACROMATICO ricompone solo 2 di questi colori (lunghezze d’onda) con la conseguenza che gli oggetti osservati presenteranno un’aberrazione cromatica che consiste nel vedere un colore scuro ai bordi degli oggetti osservati; nell’ottica APOCROMATICA invece, vengono ricomposti tutti e 3 i colori e dunque i colori scuri sono assenti, presentando un’immagine decisamente più incisa e contrastata.
L’apocromatico, quindi, combina 2 diverse lenti, come nell’acromatico, ma dispone di uno o più elementi “correttivi” che riducono quasi a zero l’aberrazione cromatica. Di conseguenza, a parità di diametro, un rifrattore apocromatico è decisamente molto più costoso, anche fino a 10 volte tanto, rispetto a un rifrattore acromatico tradizionale. Tuttavia esistono in commercio degli accessori che permettono di correggere e di migliorare alcuni limiti che affliggono i rifrattori acromatici, anche se l’impiego di un apocromatico, anche se più costoso, è sempre consigliabile rispetto a una soluzione “corretta”. I rifrattori apocromatici, proprio per le loro caratteristiche, sono i più gettonati e i più consigliati nel campo dell’astrofotografia: limitarsi solo a un uso “visuale” minimizzerebbe molto le potenzialità di questi strumenti.
Un particolare tipo di rifrattore è il “coronografo” che permette di osservare la corona solare grazie ad un cono che ostruisce il disco solare.
I telescopi riflettori
Rispetto ai telescopi rifrattori sono più facili da costruire. Sono costituiti da uno specchio parabolico (o iperbolico, come nei telescopi Ritchey-Cretién), detto primario, che ha la funzione di raccogliere la luce e di convogliarla nel punto di fuoco della parabola e da uno specchio secondario. Vi sono diverse configurazioni, diversificate per usi, costi, pregi e difetti.
I riflettori newtoniani e i dobson
Hanno un rapporto focale abbastanza corto, che generalmente si attesta su un valore di 5-6. Il loro principale utilizzo è certamente il profondo cielo, in quanto riesce a risolvere oggetti anche poco luminosi proprio in virtù del suo rapporto focale.
L’uscita visuale è posizionata vicino alla testa del tubo grazie a uno specchio di 90° che fa uscire lateralmente l’immagine nell’oculare. Vengono prodotti con diametri importanti, dai 15 cm in su, con alcuni modelli che arrivano ad avere un diametro di 30 o anche 50 cm.
In un riflettore newtoniano la luce compie due volte il tragitto all’interno del tubo, quindi deve essere sufficientemente lungo per rispettare il rapporto focale e ciò comporta che la lunghezza del tubo debba essere sufficientemente elevata per poter rispettare il rapporto focale: solitamente i telescopi Newton hanno una lunghezza leggermente inferiore alla propria lunghezza focale. Non è difficile immaginare che governare un telescopio di questo tipo che abbia una focale, per esempio, di 1200-1500 mm richieda un certo impegno, senza trascurare la trasportabilità dello strumento stesso in presenza di tali dimensioni.
Anche nell’uso su montatura i problemi non sono pochi: mentre se siete da soli e avete intenzione di farne un uso fotografico potrebbero risultare superflui, più evidenti sono i problemi che si creano se dovete osservare o far osservare. Può capitare infatti che puntando un oggetto particolarmente alto nel cielo, si debba ricorrere all’utilizzo di un supporto che vi “alzi” fino all’oculare, oppure che capiti il caso contrario, con il telescopio che si pone a un’altezza davvero limitata. Un altro difetto importante che affligge questo schema ottico è il coma, un particolare difetto ottico che causa, ai bordi del campo visivo, una forma allungata delle stelle (che assomigliano a delle comete, da qui il nome coma) e che si può correggere applicando degli opportuni correttori. Questo difetto è tanto maggiore quanto più è corta la focale dello strumento.
Di contro, un telescopio newton ha solitamente costi molto contenuti rispetto ai “colleghi” di pari diametro, con un ottimo rapporto qualità prezzo, cosa che lo rende molto appetibile anche come primo strumento. Le immagini in asse, cioè quelle attorno al centro del campo visivo sono pressoché perfette, a meno che non vi siano evidenti difetti ottici di fabbricazione.
Questo schema ottico è utilizzato, anche per la realizzazione dei cosiddetti telescopi “Dobson”, che non sono altro che riflettori newtoniani di dimensioni particolarmente importanti (dai 25 cm in su di diametro) ma che vengono usati usando
una montatura “a terra”, cioè semplicemente ancorando lo strumento a una base (solitamente in legno) appoggiata per terra, in modo da poter muovere lo strumento a proprio piacimento su entrambi gli assi ed avere una maneggevolezza notevole, pur se con uno strumento pesante e ingombrante. Particolarmente adatti e apprezzati per gli oggetti più lontani e, in particolare, per gli oggetti del profondo cielo, abbinati a oculari adatti a questo scopo vi offriranno visioni difficilmente replicabili con altri strumenti.
I riflettori Cassegrain, Schmidt-Cassegrain e Maksutov-Cassegrain
I telescopi a schema ottico Cassegrain sono senza dubbio i più apprezzati da chi cerca uno strumento compatto nelle dimensioni e versatile, adatto sia per un uso visuale sia di ripresa planetaria.
In particolare sono molto diffusi gli schemi ottici Schmidt-Cassegrain e Maksutov-Cassegrain.
I Cassegrain tradizionali hanno due specchi: il primario è concavo a sezione parabolica mentre il secondario è convesso a sezione iperbolica. Questo sistema permette di avere focali lunghe, quindi grandi capacità di ingrandimento, mantenendo comunque una certa compattezza dello strumento: la luce viene raccolta dallo specchio primario e successivamente indirizzata allo specchio secondario, il quale la converge al centro del primario che è provvisto di un foro che permette alla luce di uscire nella parte posteriore del tubo. La luce poi viaggia parallela all’interno del tubo senza ulteriori deviazioni per completare il suo tragitto dietro allo specchio primario, forato al centro per permettere appunto l’attraversamento del fascio luminoso, e arrivare così all’occhio umano tramite un diagonale ad angolo retto (90°).
Gli Schmidt-Cassegrain seguono la stessa ottica costruttiva ma, anziché avere uno specchio a sezione iperbolica come primario, ne hanno uno a sezione sferica, variante che permette un costo più basso a parità di diametro. Tuttavia la sezione sferica causa qualche aberrazione cromatica in più e dunque si rende necessario applicare una lastra correttrice di Schmidt. Questa configurazione ottica è stata inventata negli anni 40 e ad oggi è sicuramente la più diffusa tra gli astrofili di tutto il mondo: i più conosciuti in questa categoria sono i tubi ottici prodotti dalla Celestron e dalla Meade e hanno un rapporto focale f=10.
La configurazione Maksutov-Cassegrain invece prevede uno specchio sferico e una lastra correttrice costituita da un menisco concavo rivolto verso l’esterno: questo tipo di ottica permette di avere focali ancor più lunghe degli Schmidt-Cassegrain, una minore ostruzione e un maggior contrasto nelle immagini, a spese però di una inferiore luminosità dello strumento e dell’impossibilità, a causa dello spessore del menisco di realizzare tubi di diametro medio-grande: i telescopi in commercio di questo tipo infatti non superano mai i 20 cm di diametro.
È una configurazione ottica consigliata per un uso prettamente visuale.
I difetti ottici
Astigmatismo
Si tratta di un difetto ottico che produce un “allungamento” orizzontale o verticale delle stelle che induce a continue correzioni di fuoco finché non si raggiunge un compromesso tra le due soluzioni: il risultato di tale compromesso è un’immagine a “crocetta” della stella. Questa particolare condizione è causata da una non perfetta simmetria tra le curvature dello specchio (verticale e orizzontale) che genera due punti di fuoco differenti.
Cromatismo o aberrazione cromatica
Un telescopio che soffre di cromatismo produce un’immagine contornata da colori diversi: questo difetto è causato dalle diverse curvature che la lente imprime alle varie lunghezze d’onda. La presenza o meno di questo difetto dipende dal rapporto tra il diametro e la focale: se infatti la focale è maggiore di 0.122d2, dove d è il diametro espresso in mm, l’aberrazione cromatica sarà trascurabile, mentre se la focale è minore di questo valore la percezione di tale difetto sarà più apprezzabile. Per ovviare a questo limite si possono inserire degli elementi correttori (altre lenti) con diverse curvature di rifrazione in modo da contenere il difetto (questa tecnica è usata nei rifrattori apocromatici)
Aberrazione sferica
Può riguardare sia i telescopi riflettori sia quelli rifrattori e si verifica quando le ottiche sono costruite non in maniera perfetta oppure se sono “curvate” male: naturale conseguenza è quella di un’immagine non perfettamente allineata. Si tratta di un difetto, per così dire, di “fabbrica”
Coma
Il nome deriva da cometa e sta ad indicare quella particolare problematica che nei telescopi genera una forma allungata alle stelle, specie ai bordi del campo visivo. Questo difetto affligge soprattutto i riflettori di tipo newton, ma può essere facilmente risolto tramiti appositi correttori, chiamati appunto correttori di coma.